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Zecche comuniste e camicie nere: il muro crollato in Germania nell’89 rispunta in Italia?

PoliticaZecche comuniste e camicie nere: il muro crollato in Germania nell’89 rispunta in Italia?

ROMA – “Zecche comuniste”, urla il leader della Lega, Matteo Salvini, all’indirizzo dei centri sociali scesi in piazza a Bologna contro il raduno di Casapound.

“Camicie nere a Bologna”, rilancia il sindaco Dem, Matteo Lepore, che accusa il Governo Meloni per l’autorizzazione al raduno degli estremisti di destra a pochi passi dalla Stazione dove si consumò la strage fascista.

Forse c’entra la campagna elettorale, nel fine settimane infatti si vota per il nuovo Presidente della Regione Emilia-Romagna, e qualcuno, forse, pensa che polarizzando al massimo lo scontro politico, lanciando feroci accuse da una parte all’altra, magari i cittadini si convincono ad andare in massa a votare contro l’odiato nemico.

Visto quanto accaduto in passato, con il numero degli astensionisti che cresce ad ogni turno elettorale, forse è un’arma spuntata. Sotto accusa, infatti, è la classe politica tutta, giudicata non all’altezza da quasi metà degli elettori italiani che, appunto, preferiscono starsene a casa a coltivare il disprezzo.

Toccherebbe alle forze politiche ragionare sul da farsi, su come riprendere un dialogo con questi cittadini, su come far sì che la politica serva a trovare soluzioni e non mera chiacchiera e distintivo. Sperando che quanto accaduto in passato proprio qui in Italia, con scontri di piazza, sangue e violenza, non ritorni mai più, per questo bisognerebbe cambiare lessico, fare attenzione alle parole. Non solo perché le parole sono importanti ma soprattutto perché le parole possono trasformarsi in fatti.

A 35 ANNI DAL CROLLO DEL MURO DI BERLINO

Tutto questo accade a ridosso dei 35 anni dal crollo del Muro di Berlino. La fine del comunismo dell’impero sovietico si materializza il 9 novembre del 1989 con i colpi di piccone da parte di decine di migliaia di cittadini tedeschi fino a quel momento relegati dall’altra parte del Muro.

Dal 1985 a cercare di governare l’Unione Sovietica c’era Michail Gorbacev, eletto segretario generale del Pcus. Ultima speranza di riformare qualcosa di irriformabile che di lì a qualche anno portò alla fine dell’Impero comunista e alla nascita della Russia quale vediamo oggi in mano a Putin.

Per quanto ha riguardato l’Italia,  la caduta del Muro di Berlino portò Achille Occhetto, allora segretario del Partito Comunista Italiano, alla scelta cruciale, cambiare nome, iniziare una nuova storia, evitando così che il muro crollato a Berlino non seppellisse anche i comunisti italiani.

Il 12 novembre, 3 giorni dopo la caduta del Muro, Occhetto decise in fretta e furia di prendere parte ad una riunione di vecchi partigiani per ricordare una pagina della Resistenza, nella sede del partito nel quartiere della Bolognina sotto le Due Torri.

I giornalisti furono allertati che in quell’occasione ci sarebbe stato un annuncio importante.  E arrivò, con queste parole e in sette minuti: “Ora occorre andare avanti con lo stesso coraggio che fu dimostrato durante la Resistenza (…) Gorbaciov prima di dare il via ai cambiamenti in Urss incontrò i veterani e gli disse: voi avete vinto la II guerra mondiale, ora se non volete che venga persa non bisogna conservare ma impegnarsi in grandi trasformazioni”. Per l’allora segretario, in definitiva, era necessario “non continuare su vecchie strade ma inventarne di nuove per unificare le forze di progresso. Dal momento che la fantasia politica di questo fine ’89 sta galoppando, nei fatti è necessario andare avanti con lo stesso coraggio che allora fu dimostrato con la Resistenza”.

Il messaggio non fu subito colto in pieno. Fino a quando un giornalista chiese: Le sue parole lasciano presagire un cambiamento del nome? “Lasciano presagire tutto” fu la risposta e da quel momento cominciò una nuova fase politica. Con spaccature a livello politico e tra gli stessi iscritti, che a quel tempo superano il milione.

Famiglie divise, da una parte la maggioranza dei favorevoli alla svolta, altri contrari. Figli e figlie contro madri, padri contro figlie e figli. Compagni che fino a quel momento avevano organizzato e fatto politica insieme, ora su opposte barricate. Già da mesi si discuteva sul nuovo nome. Giorgio Napolitano, a quel tempo alto dirigente del partito, bocciò il nome Partito Democratico giudicandolo “troppo generico”, mentre gli piaceva molto “Partito del Lavoro”.

Furono mesi di dibattiti accesi, e prima di arrivare al nome in tutta Italia ci si confrontò sulla “Cosa”, su che cosa doveva essere la nuova forza politica. Si arrivò così al XIX congresso del Pci che si tenne dal 7 all’11 marzo del 1990 dove vinse la mozione Occhetto, la quale proponeva di aprire una fase costituente per un partito nuovo e progressista nel solco dell’Internazionale Socialista.

L’ultimo congresso del Pci si aprì il 31 gennaio del 1991 a Rimini, dove si affermò la mozione sostenuta da Occhetto, Massimo D’Alema e Walter Veltroni che sancì lo scioglimento del partito con 807 voti a favore e 75 contrari. E lì nacque il Partito Democratico della Sinistra, avente come simbolo una Quercia con alla base del tronco l’emblema del Pci in piccolo.

Poi il Pds nel 1998 si trasformò in Democratici di Sinistra fino al 2007 quando insieme alla Margherita di Francesco Rutelli si sciolsero e insieme fondarono e confluirono nel Partito Democratico con Walter Veltroni primo segretario nazionale.

Quel Pd, pur perdendo con la coalizione capeggiata da Silvio Berlusconi, alle elezioni politiche del 2008 prese 12 milioni di voti, un risultato, in termini assoluti, mai più eguagliato dal partito.
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