ROMA – Giudizio sospeso e rinvio alla Corte di Giustizia europea: i giudici del Tribunale di Roma non convalidano il fermo, ma sollecitano l’intervento della Corte di Giustizia europea. Ma di fatto, senza replica entro le 48 ore previste per legge, il fermo decade e sopraggiunge l’obbligo di rilascio dei sette cittadini migranti – tra cui egiziani e bengalesi – chiusi nel centro di trattenimento di Gjader, in Albania, che quindi dovranno tornare in Italia.
Si riconferma quanto già accaduto a ottobre, quando il primo gruppo di 16 – poi ridotti a 12 – venne riportato in Italia. In quel caso, il Tribunale di Roma stabilì la non convalida del fermo, aprendo uno scontro diretto con l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, e firmatario del Protocollo con Tiranna un anno fa. Ciò quindi ha determinato un’azione del governo che, in Consiglio dei ministri, ha adottato un decreto legge che trasforma in norma la cosiddetta “lista dei paesi sicuri”, nel tentativo di blindare il meccanismo del Protocollo Italia-Albania che punta in ultima istanza a rimpatriare i migranti portati dal Mediterraneo centrale, aggirando la decisione del tribunale italiano. Che però basava il suo sulla sentenza della Corte di Giustizia europea. E così, stavolta i giudici semplicemente rinviano la decisione alla Corte, invitandola a rispondere su quattro quesiti distinti: lo spiega la stessa 18esima Sezione civile del Tribunale ordinario di Roma – Sezione per i diritti della persona e immigrazione, in un comunicato stampa a firma della presidente di sezione, Luciana Sangiovanni: “I giudici- si legge- hanno ritenuto necessario disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue), formulando quattro quesiti, analogamente a quanto già disposto nei giorni scorsi da due collegi della stessa sezione in sede di sospensiva dei provvedimenti di rigetto di domande di asilo proposte da persone migranti precedentemente trattenute in Albania”.
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Scrive ancora la presidente Sangiovanni: “Il rinvio pregiudiziale è stato scelto come strumento più idoneo per chiarire vari profili di dubbia compatibilità con la disciplina sovranazionale emersi a seguito delle norme introdotte dal citato decreto legge”, ossia il dl n.158/2024, adottato dal Consiglio dei ministri lo scorso 21 ottobre, in cui si eleva a norma primaria la cosiddetta lista dei paesi sicuri. Secondo i giudici, tale norma “ha adottato una interpretazione del diritto dell’Unione europea e della sentenza della Cgue del 4 ottobre 2024 divergente da quella seguita da questo Tribunale – nel quadro della previgente diversa normativa nazionale – nei precedenti procedimenti di convalida delle persone condotte in Albania e ivi trattenute. Tale scelta è stata preferita ad una decisione di autonoma conferma da parte del Tribunale della propria interpretazione, per le ragioni diffusamente evidenziate nelle ordinanze di rinvio pregiudiziale”.
Prosegue la nota del Tribunale di Roma: “Deve evidenziarsi che i criteri per la designazione di uno Stato come Paese di origine sicuro sono stabiliti dal diritto dell’Unione europea. Pertanto, ferme le prerogative del Legislatore nazionale, il giudice ha il dovere di verificare sempre e in concreto – come in qualunque altro settore dell’ordinamento – la corretta applicazione del diritto dell’Unione, che, notoriamente, prevale sulla legge nazionale ove con esso incompatibile, come previsto anche dalla Costituzione italiana”.Si aggiunge poi: “Deve essere inoltre chiaro che la designazione di Paese di origine sicuro è rilevante soloper l’individuazione delle procedure da applicare; l’esclusione di uno Stato dal novero dei Paesi di origine sicuri non impedisce il rimpatrio e/o l’espulsione della persona migrante la cui domanda di asilo sia stata respinta o che comunque sia priva dei requisiti di legge per restare in Italia. In ragione del rinvio pregiudiziale i giudici non si sono pronunciati sulle richieste di convalida, ma hanno dovuto necessariamente sospendere i relativi giudizi in attesa della decisione della Corte di giustizia”. Infine, “La sospensione dei giudizi non arresta il decorso del termine di legge di quarantotto ore di efficacia dei trattenimenti disposti dalla Questura”. Da qui l’obbligo delle autorità italiane di riportare in Italia i sette cittadini migranti.
MIRAGLIA (ARCI): “I GIUDICI APPLICANO LA LEGGE, ORA BASTA USARE SOLDI PUBBLICI PER FARE PROPAGANDA”
“Come tutti sapevano, compreso il governo, che usa questa vicenda con l’Albania solo per la sua propaganda, i sette ostaggi che sono stati trasferiti dal Mediterraneo centrale fino in Albania adesso saranno liberati. Ora si ponga fine a questa vergogna e si smetta di attaccare i giudici, che fanno solo il loro lavoro: far rispettare le leggi. E questo governo non le rispetta”. Parla con l’agenzia Dire Filippo Miraglia, responsabile Migrazioni di Arci nazionale, commentando la decisione del Tribunale di Roma.Miraglia continua: “Il tribunale di Roma è intervenuto sospendendo il trattenimento e rimandando alla pronuncia della Corte di giustizia europea, su quanto deliberato dal governo italiano”, vale a dire il decreto legge che stabilisce la cosiddetta “lista dei paesi sicuri”. Secondo il responsabile Arci, “aver trasformato la lista dei paesi sicuri in legge non ha cambiato la sostanza di quello che è scritto nei provvedimenti dei giudici. I paesi non diventano sicuri se lo scrive un governo. I paesi o lo sono, o non lo sono, sulla base di quello che succede. Egitto, Bangladesh ma anche tanti altri non sono sicuri per tante categorie di persone, come membri della comunità Lgbt, oppositori politici, difensori dei diritti umani. Sono cose più che note. E non basta- avverte ancora Miraglia- che un governo abbia la maggioranza in Parlamento per stabilirlo”.
Per il responsabile Migrazioni di Arci, “adesso l’esecutivo attaccherà di nuovo la magistratura, che tuttavia si è solo limitata a fare il suo lavoro: applicare la legge e rispettare i diritti delle persone, per giunta quelle in posizione di maggiore debolezza. La magistratura non lavora per il governo. E questo governo- afferma ancora Miraglia- non ha rispettato la legge. Non è la prima volta: in meno di due anni hanno adottato 17 provedimenti sull’immigrazione. È un tema che li ossessiona e che usano solo per la loro campagna elettorale. Ma è giunto il momento che fermino questa vergogna e chiudano il Protocollo Italia-Albania: spendere i soldi del contribuente per fare propaganda elettorale è una cosa intollerabile”. D’altronde, conclude il responsabile, quel Protocollo “non ha nulla a che vedere con in i rimpatri, dato che le persone continuano ad essere rimpatriate”.
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