ROMA – Ottocento famiglie ai margini del deserto. Assediate dai combattimenti ma forti dello spirito di chi li ha accolti e di chi li aiuta. Anche con sacchi di riso, lenticchie o i soldi per un’automobile che li porti lontano dal fronte. A raccontare le storie di queste famiglie è padre Salvatore Marrone, 66 anni, da 35 missionario in Sudan. Con l’agenzia Dire, parla della sua parrocchia a Omdurman, città gemella di Khartoum sulla sponda opposta del Nilo. Si trovano, queste 800 o forse 900 famiglie, in una zona sotto il controllo dell’esercito ma vicina ad aree in mano alla fazione opposta, quella dei paramilitari delle Forze di supporto rapido. Secondo le Nazioni Unite, dall’aprile 2023 il conflitto ha costretto oltre dieci milioni di persone ad abbandonare le proprie case. “Io stesso ho dovuto lasciare la mia chiesa dopo gli attacchi dei ribelli e sono arrivato qui a Port Sudan” ricorda padre Marrone, al telefono da questa città affacciata sul mar Rosso, lontana circa mille chilometri dalla sua parrocchia.
“Cerco di mantenere il contatto con chi è restato, che affronta molte difficoltà: dopo un anno e mezzo di guerra non c’è lavoro, il cibo costa caro e le medicine sono quasi introvabili”. Le comunità cristiane, piccola minoranza in un Paese a stragrande maggioranza musulmano, hanno accolto persone sfollate soprattutto a Thawra 18 e ad Al Fatah. “E’ una zona desertica”, riferisce padre Marrone, “dove sono sorti nel tempo centri educativi e scuole, con hanno il tetto di paglia ma sono costruite bene e resistono”. Sul display scorrono le foto. Le panche divelte all’interno di una chiesa dopo il passaggio dei paramilitari, la folla di persone per una messa all’ombra di qualche albero, un bambino piccolo che ride con la testa che spunta da un secchio. Immagini condivise dal missionario, originario di Villafranca di Verona, uno dei quattro italiani della congregazione dei comboniani rimasti in Sudan. “Sono arrivato la prima volta poche settimane dopo il golpe di Omar Al Bashir nel 1989” ricorda. “Oggi, con la guerra, le difficoltà sono straordinarie: ufficialmente le scuole restano chiuse, anche se per non lasciare i bambini a casa si cerca di tenere lezioni con i pochi maestri rimasti, che insegnano arabo, matematica o inglese”. Un’opportunità che non sempre è garantita. Soprattutto nelle aree sotto il controllo dei paramilitari, infatti, cresce la pressione sui ragazzi che hanno compiuto i 14 anni perché si arruolino. “Capita che uomini armati si presentino nei villaggi chiedendo un numero di giovani da addestrare e reclutare” riferisce padre Marrone: “Minacciano di bruciare e distruggere nel caso ricevessero un rifiuto”.
Il missionario, insieme con i confratelli, prova però a rafforzare la speranza. “Un segnale è la bella accoglienza, nel senso cristiano, che nelle parrocchie è stata offerta a chi arrivava dalle zone più vicine alla linea del fronte” sottolinea padre Marrone. Convinto che la solidarietà, anche attraverso la rete dei comboniani, possa dare risultati. “E’ possibile fare una donazione attraverso la procura di Verona” riferisce il missionario. “In Sudan gestiamo poi i fondi inviandoli via telefono a persone fidate, indicate dalle comunità, che dispongono di account bancari da cellulare e provano a rispondere alle necessità locali”. È così che vengono acquistati sacchi di lenticchie o di riso e che si aiutano le famiglie più esposte a spostarsi. Lo spirito è quello di san Daniele Comboni, missionario in Sudan nel XIX secolo, arricchito e reso più vivo dall’impegno della Chiesa locale. “Tutte le nostre iniziative”, sottolinea padre Marrone, “sono realizzate in collaborazione con monsignor Michael Didi Adgum Mangoria, l’arcivescovo di Khartoum, e con il clero sudanese, che sta soffrendo con il popolo”.Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it