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Progeria, cos’è la malattia di cui soffriva Sammy Basso

Dall'Italia e dal MondoProgeria, cos'è la malattia di cui soffriva Sammy Basso

(Adnkronos) – La Progeria, la malattia di cui era affetto il 28enne Sammy Basso, è una patologia genetica rarissima che colpisce una persona ogni 8 milioni di nati, ed ha un’incidenza nel mondo di una persona ogni 20 milioni. Fu descritta per la prima volta a livello medico da Jonathan Hutchinson nel 1886 e in seguito da Hastings Gilford nel 1897, medici dai quali prese il nome. La speranza di vita per chi è affetto da progeria è spesso limitata a circa 14-15 anni. Molti muoiono a causa di attacchi di cuore o ictus. 

 

La progeria è una malattia genetica ultra rara che riduce drasticamente l’aspettativa di vita di chi ne è affetto, caratterizzata da un invecchiamento accelerato che si manifesta precocemente nell’infanzia, senza alterazione delle capacità intellettive, e con evidenti alterazioni di pelle, ossa e sistema cardiovascolare. 

Come si legge sul sito dell’Associazione italiana progeria Sammy Basso onlus, la Progenia è causata da una mutazione puntuale in una delle due copie del gene LMNA presente nel Dna, che produce una proteina tossica chiamata progerina, da cui la malattia prende il nome. La progerina altera la struttura del nucleo cellulare, causando un rapido deterioramento delle cellule e, di conseguenza, dei tessuti e degli organi. 

La mutazione sporadica alla base di questa sindrome viene prodotta durante le prime fasi dello sviluppo embrionale. La progeria colpisce circa una persona ogni 18-20 milioni; nella storia della medicina si contano solo 140 casi di questa malattia. Secondo la Progeria Research Foundation, ci sono solo 18 pazienti noti e vivi in tutti gli Stati Uniti. 

 

Ad eccezione delle cellule del sistema nervoso, dove la lamina A non è espressa, e dunque nemmeno la progerina, ogni cellula del corpo di una persona con progeria si trova ad essere malfunzionante, influenzando così quelle vicine ed andando a formare dei tessuti malati e di per sé più deboli. Quanto l’accumulo di progerina sia a livello molecolare pesante, lo si può vedere anche nei sintomi che la progeria provoca nel corpo nel suo complesso.  

Le persone affette da progeria infatti, oltre ad avere un aspetto fisico peculiare, si trovano ad affrontare diversi sintomi quali problemi di osteoporosi, osteolisi e artrite; difetti alle capsule articolari (con conseguenti frequenti lussazioni di spalle ed anche); lipodistrofia generalizzata; ritardo nella crescita e nello sviluppo; anomalie della cute; alopecia e soprattutto problemi al cuore e ai vasi sanguigni quali occlusioni dei vasi principali, stenosi delle valvole cardiache, ictus, infarto e altri.  

Nel suo complesso, questa sintomatologia, porta a quello che è chiamato “invecchiamento precoce”, a causa della sua somiglianza con il normale invecchiamento fisiologico, con le quali ha però anche delle profonde differenze, con una conseguente riduzione della qualità della vita ed un’aspettativa di vita di soli 13,5 anni senza trattamenti.  

Attualmente sono solo 130 i casi di progeria classica (HGPS) riconosciuti nel mondo, di cui 4 in Italia. Questo numero è però sottodimensionato in quanto spesso è difficile rintracciare i casi di progeria, per lo più nei paesi del terzo mondo, ma a volte anche nei paesi più sviluppati. Le attuali stime sul numero reale di persone affette di progeria al mondo si aggirano attorno ai 350 casi. 

 

Un piccolo gruppo di accademici e scienziati governativi, tra cui il dottor Francis Collins, ex direttore dei National Institutes of Health, sta lavorando (senza alcuna finalità di lucro) per fermare la progeria con una innovativa tecnica di editing genetico. 

Non solo: i ricercatori affermano che se risulterà efficace nel rallentare o fermare la progeria, questo metodo potrebbe anche aiutare a curare altre malattie genetiche rare che ad ora hanno suscitato poco interesse da parte delle case farmaceutiche. 

Il progetto di editing genetico “è meritevole, ma anche rischioso” ha dichiarato il dottor Kiran Musunuru, ricercatore di editing genetico all’Università della Pennsylvania, che avverte: sebbene l’editing abbia funzionato bene nei topi, non c’è garanzia che funzioni nei pazienti umani. Intanto, il momento della verità si avvicina. 

 

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