ROMA – “La Corte penale internazionale, nel suo statuto, non riconosce l’immunità alle più alte cariche dello Stato come presidente, primo ministro e ministro degli Esteri, proprio perché, occupandosi di accuse gravissime quali sono i crimini di guerra e contro l’umanità, garantisce che anche queste figure siano colpite da mandato d’arresto e processate, laddove ne esistano le prove”. Parte da qui l’analisi che Micaela Frulli, docente di Diritto internazionale dell’Università di Firenze, condivide con l’agenzia Dire, dopo che il governo della Francia ha sottolineato una difficoltà a dar esecuzione al mandato di cattura contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, spiccato dalla Corte con sede all’Aia, facendo appello all’immunità di cui godrebbe.
Il nodo giuridico addotto dal Quai D’Orsay è che gli organi di Stato israeliani, non essendo Israele Stato membro della Corte, possano beneficiare dell’immunità dalla giurisdizione e dalle misure coercitive.Frulli osserva: “Esiste una regola di diritto internazionale consuetudinario che prevede l’immunità personale per queste tre cariche, mettendole al riparo, fintanto che sono in carica, da mandati d’arresto e procedimenti giudiziari”. Tuttavia, prefigurando il rischio di due necessità confliggenti – quella di garantire l’immunità a chi prende decisioni cruciali per uno Stato e quella di poter mettere a giudizio chiunque, se sospettato di aver commesso crimini gravissimi – “la Corte penale nel suo statuto dà la precedenza al secondo, mandando espressamente in deroga il primo”.
“L’ITALIA, PER LEGGE, NON RICONOSCE L’IMMUNITÀ IN CASI COME QUESTO”
Oltre al governo della Francia anche quello dell’Italia ha detto che dovrà “leggere approfonditamente le carte”, facendo leva sul tema dell’immunità, prefigurando così che nel caso Netanyahu entri nel territorio italiano le manette per lui potrebbero non scattare. Gli Stati Uniti, non riconoscendo la Corte, hanno bollato la sentenza come “oltraggiosa”. “Ma il nostro Paese- replica la docente- nel suo stesso ordinamento non lascia margine di manovra. Mi riferisco alla legge 237/2012 che stabilisce le modalità di cooperazione dell’Italia con la Corte dell’Aia”. In quel testo, con cui il nostro ordinamento viene parzialmente adeguato allo statuto, viene “data priorità al rispetto delle decisioni della Corte e agli obblighi che ne conseguono”.
Pertanto, la normativa italiana “prevede la consegna dell’imputato”, stabilendo l’iter. Frulli spiega: “Il ministro della Giustizia trasmette il mandato al procuratore della Corte d’appello di Roma che chiede ai giudici di ordinarne l’esecuzione, dando effetto alla misura cautelare, in vista della consegna alla Corte dell’Aia”. Di conseguenza, “la legge prevede solo una verifica formale circa la regolarità dell’atto, non una valutazione politica”; valutazione che, al contrario, può avvenire “nel caso delle richieste di estradizione”.Pertanto l’esperta avverte: “La scelta di rispettare o meno il mandato di cattura su Netanyahu non è di natura giuridica, bensì politica”, come politiche sono state, ricorda ancora la docente, “le parole di condanna che il governo di Parigi espresse contro la Mongolia quando, lo scorso settembre, si rifiutò di arrestare il presidente russo Vladimir Putin”, entrato nel Paese asiatico per una visita. Anche Putin infatti è stato raggiunto da un mandato di cattura della Corte dell’Aia.
“NON EQUIVALENZA CON HAMAS? MA LA LEGGE NON FA DISTINZIONI”
Ecco perché, secondo Frulli, se Francia, Italia, Germania o Regno Unito decideranno di garantire l’immunità a Netanyahu, “rinnegheranno valori e diritti fondamentali che la Corte dell’Aia incarna”. Inoltre, sottolinea la professoressa, “il nostro Paese ha una responsabilità in più, essendo la Corte stata istituita tramite il Trattato siglato a Roma nel 1998: è stata l’Italia a volerla fortemente”. A rimetterci sarebbe, fra i tanti, il principio secondo cui “la legge è uguale per tutti”. Continua la docente dell’Università di Firenze: “Quando l’Italia e i Paesi del G7 respingono l’equiparazione tra uno Stato e Hamas, in realtà vanno contro il fatto che tutti, a prescindere dalla loro carica o del loro ruolo, debbano rispondere delle proprie azioni davanti alla giustizia”, e non è possibile “manipolare il lavoro della Corte, insistendo per presentarlo come un atto politico”, quando la Corte “fa solo rispettare la legge”, come fatto con Putin o il presidente del Sudan Omar Al-Bashir. Il rischio, secondo Frulli, “è fare due pesi e due misure, perdendo coerenza”.
Mandato d’arresto internazionale per Netanyahu: tutte le accuse dell’Aia
La Corte penale internazionale emette due mandati d’arresto per Gallant e Netanyahu. Il primo ministro israeliano: “Decisione antisemita”
Il giurista: “Il mandato di arresto potrebbe mettere in discussione Netanyahu premier”
Tuttavia, conclude la professoressa, “bisogna tenere presenti due questioni: primo, il mandato di cattura ha raggiunto anche Yoav Gallant, che non è più ministro della Difesa e pertanto non gode di nessuna immunità, e lo stesso vale per il comandante di Hamas Mohammed Deif, se ancora vivo”. Secondo, “il premier Netanyahu attraversa una crisi di consenso interno, quindi a breve potrebbe perdere la carica; a quel punto non sarà più coperto dall’immunità, e non ci saranno ulteriori ostacoli a un eventuale arresto”.
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