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Mamma, papà, ho ucciso un ragazzo e non so perché

PoliticaMamma, papà, ho ucciso un ragazzo e non so perché

ROMA – Perché? Quando manca un motivo almeno che aiuti a capire il perché di un assassinio, sono tanti quelli che si rifugiano nel facile: ma quello è un matto che andava curato prima. Eppure si rimane senza parole a leggere l’ennesimo fatto di sangue, un giovane di trent’anni ucciso a coltellate da un giovane di 19 che, incontrandolo di notte mentre rincasava dal suo lavoro, voleva a tutti i costi le sue cuffiette (da 15 euro).

Quello si è opposto e l’altro l’ha ucciso col coltello che si era portato da casa. Perché il coltello? “Perché girare di notte a Rozzano (nel milanese) è pericoloso” ha detto ai Carabinieri. Quando il pericolo, come si è visto, era proprio lui. E’ solo l’ultimo episodio di una lunga serie. Qualche mese fa c’era stata l’uccisione di Sharon Verzeni, anche lei uccisa a colpi di coltello da un giovane, così, per caso, come fosse un passatempo. E poi il giovane di 17 anni che fa fuori tutta la sua famiglia, l’altro giovane che si accorda su un sito online con una donna e poi la uccide con una mossa di wrestling.

“E’ successo tutto velocemente” ha detto ai Carabinieri dopo l’arresto, insomma come se il fatto che fosse morta subito, senza soffrire, possa essere una sorta di attenuante. Chiaro che c’è qualcosa dietro, sicuramente c’entra la famiglia, c’entra la società che finora tutti, anche noi stessi, abbiamo modellato e stiamo trasmettendo ai nostri figli. Dell’ultimo assassinio ne discutevo con alcuni colleghi giornalisti che, a loro volta, avevano avuto uno scambio di pareri nelle rispettive famiglie.

“A me che dicevo che i genitori avevano sbagliato, che in questo modo si erano resi complici non portando subito il figlio dai Carabinieri, mio figlio di 14 anni mi ha risposto: ‘perché, se capitasse a me, tu mi porteresti subito dai Carabinieri?’”.

Vero che a 14 anni si pensa di essere immortali e quindi la vita, come dire, il valore della sua unicità non viene forse percepita appieno. Ma il fatto che anche un gesto criminale debba trovare comprensione familiare ecco, questo è un segnale che va subito compreso e attenzionato, di certo è diffuso. Prima di tutto perché, ogni volta che si presentano studi e ricerche, ormai la famiglia, nel senso pieno, quando r-esiste è sbrindellata, a sua volta colpita da un precipitare quotidiano che non lascia nemmeno il respiro figuriamoci il tempo per pensare, capire o confrontare anche coi rispettivi figli.

E alla fine, dopo i fattacci, si rincorrono i mea culpa: non lo avevo compreso, non avevo capito che… nessuno mi ha detto niente, era così normale...Tornando all’ultimo omicidio, chiaro che anche i genitori dovranno essere chiamati a rispondere, perché lavare i pantaloni sporchi di sangue, gettare le cuffie fuori di casa e accompagnare il figlio alla stazione per farlo scappare, di fatto si sono resi complici.

E per me anche loro dovranno pagare il conto con la giustizia. Perché è importante che ogni figlio, anche da piccolo, capisca che nonostante il bene, l’amore, un genitore non potrà mai rendersi complice di un gesto estremo come quello di uccidere un innocente. Senza un perché.

E mi sono tornate in mente alcune lezioni di filosofia di quando ero studente che riguardavano Essere e tempo di Heidegger. Vado a memoria, quando si parla di avere un destino, che significa in primo luogo farsi carico del proprio Sé in modo autentico. Il proprio Sé che in questo mondo spesso scompare, perché ormai ci si abbandona alla molteplicità infinita delle possibilità che ci si offrono e che vogliamo veder soddisfatte immediatamente. Ecco, è in questa eterna voglia di soddisfazione immediata, che subito cambia e reclama di nuovo, che si perde di vista il nostro destino: di esseri umani.

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