ROMA – Salute e sicurezza. Un nesso cruciale, da capire e affrontare con gli strumenti della cooperazione internazionale. I soli in grado di garantire il diritto alla salute nei Paesi più vulnerabili e dunque a tutti. Perché il mondo è uno solo e i suoi otto miliardi di abitanti si spostano ogni giorno.
Nessun Paese è al sicuro se non sono tutti al sicuro. Anzitutto sul piano sanitario. Riflessioni e spunti in evidenza all’Istituto affari internazionali (Iai), che ha ospitato una tavola rotonda con esperti, decisori politici e anche ufficiali delle forze armate.
Al fianco del colonnello medico Alberto Autore, dell’Aeronautica, c’è il maggiore Filippo Molinari, dell’Istituto di scienze biomediche della difesa. Dialoga con loro Lia Quartapelle, vicepresidente della Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati, Francesca Manno, dirigente del ministero dell’Economia e delle finanze, ed Ettore Greco, vicepresidente dello Iai.
MOSCHETTA (FONDO GLOBALE): SCONGIURARE UN DISIMPEGNO USA
Per scongiurare un disimpegno americano con la nuova presidenza di Donald Trump, i Paesi europei devono “accrescere” il loro impegno nei confronti degli organismi multilaterali che promuovono il diritto alla salute: così all’agenzia Dire Francesco Moschetta, manager del Fondo globale per la lotta contro l’aids, la tubercolosi e la malaria.
L’intervista si tiene a margine di un seminario all’Istituto affari internazionali (Iai). Esperti, politici e anche ufficiali delle forze armate partecipano a un incontro dal titolo ‘Salute e sicurezza: l’impatto delle epidemie sulla sicurezza europea e globale’.
La parola che ritorna nella riflessione di Moschetta, esperto di emergenze, già al lavoro in Afghanistan o in Repubblica democratica del Congo, è “step up”: in italiano “accrescere” o anche “intensificare”.
“Se i Paesi dell’Europa vogliono evitare brutte sorprese devono impegnarsi sul piano finanziario, considerando il principio americano del ‘matching'” avverte il manager, che utilizza un termine traducibile come “coordinamento”.
“Lo stesso discorso vale per l’India, la Cina e tutti gli altri attori che sono interessati al funzionamento dei meccanismi multilaterali”.
La dinamica non sarebbe diversa da quella che riguarda i Paesi membri della Nato. Trump ha minacciato infatti di ridurre l’impegno americano nell’Alleanza atlantica in assenza di una maggiore partecipazione degli alleati europei, anche sul piano finanziario. In materia di salute, la premessa è che gli Stati Uniti sono storicamente i primi donatori di una molteplicità di organismi.
“Lo stesso Fondo globale è stato voluto dai repubblicani e ha ricevuto un contributo dal governo americano anche durante il primo mandato di Trump” ricorda Moschetta. “Oggi è difficile immaginare che cosa potrebbe succedere nel caso ci fosse una riduzione dei contributi internazionali da parte della nuova amministrazione”.
BURSI (IAI): GLI USA DECISIVI, ATTENTI A KENNEDY JUNIOR
Un cambiamento di linea a Washington, con magari Robert Kennedy Junior segretario alla Salute orientato su posizioni critiche verso i vaccini, avrebbe comunque conseguenze a più latitudini. “Gli Stati Uniti sono un donatore essenziale, sia per la lotta all’hiv che per quella alla malaria- evidenzia Moschetta- Un disimpegno avrebbe ripercussioni molto forti”.
Un segretario alla Salute americano come Robert Kennedy junior, con un orientamento “fortemente scettico” verso i vaccini, potrebbe comportare difficoltà aggiuntive anche per i Paesi a medio e basso reddito: a sottolinearlo è Matteo Bursi, dell’Istituto affari internazionali (Iai).
“Il tema è la distribuzione dei vaccini” evidenzia Bursi, commentando la designazione Kennedy Junior da parte del neo-eletto presidente Donald Trump.
“Se avremo come segretario un politico fortemente scettico mi chiedo che cosa possa fare per i Paesi a medio e basso reddito, in particolare in Africa”. “Le minacce sanitarie continuano a non essere interpretate dai policy maker come minacce per la sicurezza” dice Bursi, illustrando il tema centrale dello studio. “Invece lo sono, e in modo anche consistente: ce lo ha insegnato il covid-19, come prima altre epidemie, dall’hiv a ebola”.
Il seminario allo Iai nasce dall’esigenza di porre il problema all’attenzione dei decisori politici e dei media. “Anche se nel caso del virus mpox qualche lezione appresa l’abbiamo notata” riconosce Bursi.
“L’agenda del G20 ha compreso un incontro congiunto dei ministri delle Finanze e della Salute, che hanno trattato del ‘vaiolo delle scimmie'”.
Il rapporto è costruito anche sulle testimonianze di ufficiali delle forze armate. “In tanti hanno denunciato la scarsa attenzione che è posta su malattie veicolate dalle zanzare anche nell’Europa continentale e in Italia, in zone interessate da cambiamenti delle condizioni climatiche e atmosferiche”.
Il riferimento è in particolare alla dengue, con casi autoctoni censiti in Emilia-Romagna, nella pianura padana, e in altre regioni.
“Si tratta di rischi a volte non presi in debita considerazione” avverte Bursi.
Che torna poi ad allargare lo sguardo. “Vedremo se con Donald Trump alla Casa Bianca si creerà un deficit di cooperazione sanitaria internazionale” dice il ricercatore.
“Se accadesse sarebbe un problema enorme: è importante che gli Stati portino avanti un dialogo sulla salute pur in presenza di tensioni su altri dossier”.
L’INFETTIVOLOGO VELLA: INVESTIRE È UN IMPERATIVO GLOBALE
“Investire nella salute globale non è un’opzione: è un imperativo strategico per garantire un futuro più sicuro per tutti”.
Parole di Stefano Vella, infettivologo, professore all’Università cattolica, nonché vicepresidente dell’associazione Friends of the Global Fund Europe.
Vella si sofferma sulla necessità di “prepararsi” alle emergenze sanitarie, anche “apprendendo le lezioni” del passato, dall’hiv al covid-19.
“Nuovi studi”, sottolinea il professore a proposito di incognite possibili, “indicano che esistono un milione e mezzo di virus sconosciuti che sono veicolati negli animali e che non abbiamo mai visto e che si sta cercando ora di sequenziare”.
Quello di Vella è un appello alla cooperazione sanitaria che privilegi gli organismi multilaterali, come il Fondo globale, che ha il compito di supportare i Paesi più vulnerabili nel contrasto all’aids, alla tubercolosi e alla malaria.
“Le pandemie non sono solo una crisi sanitaria”, evidenzia il professore, “ma una minaccia diretta alla stabilità economica, sociale e politica mondiale”.
Durante l’incontro allo Iai sono stati discussi dati forniti dal Fondo globale. Dall’avvio delle sue attività nel 2002, l’organismo avrebbe salvato oltre 65 milioni di vite, contribuendo a ridurre di oltre il 60 per cento la mortalità causata da aids, tubercolosi e malaria.
Il Fondo Globale, sempre secondo le statistiche, investe circa due miliardi di dollari all’anno.
“E’ un’esperienza che dimostra come la cooperazione internazionale funzioni” dice Vella, che però avverte: “Per mantenerne e ampliarne l’impatto è fondamentale che i leader del G7 e gli altri donatori aumentino il loro sostegno nel 2025”.
La tesi del professore è che “senza un finanziamento adeguato si rischiano di perdere i progressi raggiunti, con conseguenze negative sull’economia e la sicurezza globale”.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it