ROMA – “È la prima volta che veniamo in Italia e siamo felici di essere qui: un esempio vivente per dimostrare che un’altra realtà è possibile”. Parla con l’agenzia Dire Eszter Koranyi, co-direttrice israeliana dell’organizzazione ‘Combattenti per la pace’ (Combatants for peace), nata nel 2005 a Betlemme dalla volontà di creare un luogo di dialogo tra israeliani e palestinesi, e chiedere una soluzione politica a una questione iniziata quasi ottant’anni fa.
Occasione dell’intervista è un incontro a Roma, presso il centro sociale Spin Time, dal titolo ‘La pace è la via’, tappa di un tour iniziato a Milano venerdì 15 novembre che ha toccato anche Torino, Firenze e Napoli. ‘Combattenti per la pace’ muove i suoi primi passi nel 2005, in piena seconda Intifada, grazie a ex detenuti palestinesi ed ex soldati israeliani che per la prima volta organizzavano incontri clandestini, violando il coprifuoco, per confrontarsi, partendo dal mutuo riconoscimento che la Palestina è sotto occupazione. “Co-resistenza, per arrivare a una liberazione collettiva” e “riumanizzazione dell’altro” sono parole chiave della sua azione, descritta anche nel libro della giornalista Daniela Bezzi ‘Combattenti per la pace’, edito da Multimage.
KORANYI E SALMAN, NATE DA FAMIGLIE CHE RAPPRESENTANO UNA STORIA
Nell’incontro romano si parte dalla storia delle due testimoni, Eszter Koranyi e Rana Salman, entrambe co-direttrici. Koranyi nasce a Budapest da una famiglia ebrea, dove “tutti e 4 i nonni sono sopravvissuti all’olocausto. Per noi- ricorda- Israele rappresentava un luogo di libertà”. Ma crescendo “ho scoperto la realtà dell’occupazione”. Rana Salman, residente a Betlemme, discende invece “da una famiglia di rifugiati palestinesi espulsi da Haifa nel 1948”, anno in cui vengono sconfitti gli eserciti arabi e fondato lo Stato di Israele. “Dopo gli accordi di Oslo, la Cisgiordania è stata divisa in tre aree (A, B e C), e sono cresciuta vedendo la realtà dei checkpoint e dei muri di separazione”, ricorda Salman. Un giorno però, si rende conto che “le nostre società alimentano la narrativa del ‘noi siamo migliori di loro’ e che invece condividiamo paure ma anche speranze”. Sia Salman che Koranyi si uniscono a Combattenti per la pace. Koranyi decide anche di stabilirsi a Gerusalemme, “ma ho scelto- chiarisce- di non prendere la cittadinanza israeliana, un privilegio che spetta alle persone di religione ebraica, perché non volevo avere più diritti della controparte palestinese”.
L’AZIONE DI SENSIBILIZZAZIONE E I VALORI DELLA NONVIOLENZA
Oggi il movimento è molto più inclusivo, coinvolgendo anche donne e giovani. “L’attacco di Hamas del 7 ottobre ci ha scioccato- dice Koranyi- ma non ci ha stupito, perché questa situazione non può andare avanti. Ma non ci ha diviso. Abbiamo creato circoli di dialogo. Tanti hanno anche testimoniato che i neonati non sono stati uccisi il 7 ottobre 2023: così, abbiamo capito che i media danno informazioni diverse per israeliani e palestinesi”. Perciò, dal lancio dell’offensiva israeliana, che ha comportato quasi 44mila morti in tredici mesi, “ascoltiamo e promuoviamo un’informazione non violenta”.
Inoltre, riprende Salman, “organizziamo tour per conoscere la realtà vissuta dalla popolazione in Cisgiordania, soprattutto nell’area C, dove espropri e violenze sono quotidiani. Si puo restare bloccati ai checkpoint per ore. Si puo essere picchiati o arrestati dai militari israeliani per una foto o un post sui social”. Il movimento inoltre “accompagna le persone per proteggerle dagli assalti dei coloni, in particolare i contadini adesso che c’è la raccolta delle olive”, dal momento che ogni anno l’esercito vieta la raccolta. Iniziativa a cui partecipano anche vari israeliani di altri movimenti, come evidenzia Luisa Morgantini di Assopace Palestina, che avverte: “Coloni e soldati israeliani in questo momento sparano senza scrupoli, come ha dimostrato la morte di Aysenur Ezgi Eygi, attivista turco-statunitense di 26 anni dell’International Solidarity Movement, uccisa a fine settembre da un cecchino durante una marcia non violenta”. Una violenza, dice Morgantini, “che aumenta ora che il governo israeliano ha annunciato di voler portare a termine l’annessione dell’intera Cisgiordania, oltre che di Gaza”.
“L’OPERAZIONE GAZA NON CREA SICUREZZA PER NESSUNO”
Con la Dire poi Rana Salman commenta la recente richiesta di papa Francesco di indagare a fondo sulle accuse di genocidio mosse contro Israele nella Striscia di Gaza all’indomani dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. “Anche noi- dice- seguiamo con attenzione i lavori della Corte internazionale di giustizia (Icj). Facciamo appello al rispetto del diritto internazionale e al principio della nonviolenza, quindi condanniamo le violenze che a Gaza vengono commesse da ambo le parti”. È attesa per la sentenza della Corte di giustizia internazionale seguita alla denuncia che il Sudafrica ha presentato contro Israele nei mesi scorsi. Un appello, quello del Pontefice, che ha spinto l’ambasciata di Israele presso la Santa Sede a contestare le affermazioni del Pontefice, evidenziando “il diritto di Israele all’autodifesa”. “Chiediamo alla comunità internazionale di intervenire per il cessate il fuoco” aggiunge Salman. Koranyi sempre alla Dire afferma: “A prescindere da cosa l’Icj deciderà, è chiaro che quanto accade a Gaza non garantisce la sicurezza di nessuno, né dei palestinesi né di Israele”.Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo https://www.dire.it