Il cippo scuola di camorra per i giovani delle “realtà difficili”
Proprio come i ninja agiscono in incognito avvolti nell’oscurità. Tutti vestiti in tuta nera ed incappucciati, simili appunto ai mercenari giapponesi, una decina di ragazzini hanno tentato il grande colpo. Obiettivo, ancora una volta, un maestoso albero natalizio. Stavolta però ad essere finito nel mirino delle baby-gang non è quello storico della galleria Umberto I di Napoli ma quello, allestito quest’anno e più voluminoso del primo, nella Galleria Principe.
Data l’immane mole dell’albero la bada ha tentato di bittarlo giù tirandolo con delle corde. Sono stati eseguiti tre tentativi di furto, tutti andati a vuoto.
«Sono tre sere che 12-13 ragazzini vengono qui in galleria cercando di rubare l’albero» – spiega uno dei commerciati che opera all’interno della galleria monumentale- «Un albero così grande, da richiedere il trasporto su di un camion, se gli cade addosso li ammazza»
Con l’approssimarsi al 17 gennaio, giorno in cui viene celebrato Sant’Antonio Abbate, a Napoli aumentano i furti di alberi di Natale ad opera di giovanissimi. Gli alberi non rappresentano altro che un bottino, un approvvigionamento di legname che poi sarà arso per i cosiddetti cippi di Sant’Antuono.
La festa di Sant’Antonio Abate ha radici molto antiche, sembra che sia nata nel comune di Macerata Campania addirittura nel XIII secolo. Durante le fiere settimanali gli artigiani, per attirare l’attenzione dei clienti e al contempo per dimostrare la solidità dei lori prodotti, li percuotevano con forza.
Provocare suoni assordanti battendo su tini e botti era anche un propiziatorio per i raccolti e serviva ad allontanare per gli spiriti maligni, per questo lo si è cominciato a ripetere anche sui campi e persino sui carri. Col tempo questi i suoni rumorosi sono stati sostituiti da una musica trascinante, che è diventata la musica tradizionale della festa di Sant’Antuono.
E il fuoco? Questo è un elemento fondamentale per la celebrazione di Sant’Antonio, infatti la leggenda narra che il santo scese agli inferi con il suo maialino per rubare il fuoco, che ha potere purificatorio e può scacciare via i mali dall’anno appena iniziato, e regalarlo agli uomini. Ma Sant’Antonio fu accolto duramente, alle soglie degli inferi, i demoni riconoscendolo gli presero il bastone e non lo fecero entrare. Ma il maialino si infilò di corsa mettendo tutto a soqquadro e i diavoli dovettero farsi in quattro per aggiustare tutto. Fu così che Sant’Antonio disse ai diavoli – «se volete che lo faccia star buono, dovete ridarmi il mio bastone.». Così una volta che il bastone ritornò al suo legittimo proprietario, il maialino si tranquillizzò. Non si trattava certo di un bastone qualunque, era il bastone di ferula dal midollo spugnoso e se una scintilla entrava nel midollo il legno continuava ad ardere anche se da fuori non si vedeva nulla. Così i diavoli ignari che Sant’Antonio avesse il fuoco nel bastone lo lasciarono andar via. Una volta fuori, il Santo alzò il bastone infuocato in segno di benedizione cantando: «Fuoco, fuoco, per ogni loco; per mondo fuoco giocondo!”. Da quel momento, donò agli uomini il fuoco sulla Terra.».
Così le celebrazioni del santo terminano sempre con i cosiddetti fucarazzi, cioè, dopo aver formato grosse cataste di legno, esse vengono incendiate. A Napoli tale rito è stato sempre fortemente sentito soprattutto nel Borgo di Sant’Antonino Abate, ‘o Buvero, dove si trova la chiesa dedicata al Santo. Il fuoco simboleggia la potenza di Sant’ Antuono e al contempo rappresenta un modo per liberarsi del vecchio per fare spazio al nuovo per l’anno appena cominciato.
In epoca moderna, però, quella che era una tradizione folkloristica a Napoli è stata trasformata e trasfigurata in una sorta di gara dell’illecito tra le baby-gang dei vari quartieri della città, una sfida a chi ruba a più alberi e chi dà vita al falò più grande. I ragazzi così se ne vanno in giro per i vicoli di Napoli a scovare potenziali prede, a saccheggiare per poi occultare e proteggere la refurtiva in nascondigli i quali potrebbero essere violati dalle bande rivali. È una replica in ‘miniatura’ e in forma più morbida delle guerre tra clan, una palestra per la vita criminale. E proprio come i ‘grandi, i ragazzini delle baby-gang utilizzano i social network per mostrare la loro ‘forza’. È il caso, ad esempio, di una banda del Rione Sanità che mostra orgogliosa su Tik Tok i propri bottini e le imprese compiute, atteggiandosi da narcos.
Quello criminale, grazie anche all’ausilio dei social network, diventa, purtroppo, sempre di più per tantissimi giovanissimi un modello di vita de seguire e così le imprese criminali, o similari, vengono sbattute in faccia agli utenti delle piattaforme affinché possano ammirarle ed emularle.
Non fa neanche strano che i riti religiosi abbiano un qualche legame con la criminalità, del resto la camorra ha sempre fatto leva sulla cristianità, sia per fare propaganda e farsi accettare dalla comunità, sia per una questione di ripulitura di coscienza, per quanto possa valere. Così i riti, le processioni, le tradizioni religiose sono diventate una parte importante dell’attività dei clan che in questi avvenimenti religiosi hanno sempre potuto celebrare i loro capi, mandare messaggi e dimostrare il loro potere sul territorio.
Si ricorda, ed esempio, la notte dei falò dell’Immacolata dell’8 dicembre del 2019 a Castellammare dove fu esposto uno striscione scandaloso «Così devono morire i pentiti, abbruciati.».
Il neomelodico Tony Marciano dopo la sua esibizione musicale ringraziò chi aveva reso possibile la festa: «A Salvatore della Faito per aver reso possibile tutto questo.». Secondo molti, Salvatore della Faito non era altro che Salvatore Imparato, boss di spicco del clan D’Alessandro.
Fabio De Rienzo