Timori per il Pil del 2025
Roma, 22 ott. (askanews) – Il crollo del settore dell’auto, tornato circa al livello di produzione di inizio 2013, data la sua rilevanza, mette a rischio la crescita italiana sia di breve che di medio-lungo periodo: -26,1% la produzione a luglio 2024 rispetto a lu – glio 2023 contro il -3,8% della produzione industriale totale; nel comparto auto – veicoli propriamente detti il calo è ancora più profondo (-34,7%). A lanciare l’allarme è il Centro Studi di Confindustria nel rapporto con le previsioni d’autunno sottolineando che “la crisi dell’auto italiana costituisce un importante rischio al ribasso nello scenario di previsione del Pil italiano per il 2025”.
Il fenomeno, seppur legato alla debolezza della domanda, non è solo congiunturale. Secondo gli economisti di viale dell’Astronomia, “c’è anche qualche cambiamento nelle abitudini che riduce la domanda: tra i giovani sarebbe più basso il desiderio di utilizzare un’automobile rispetto alle precedenti generazioni; è in forte crescita il vehicle-sharing”. Ma incide sicuramente anche il costo: in Europa nel 2023 l’automobile elettrica più economica sul mercato era del 92% più costosa del corrispettivo più economico a combustione interna, a causa delle batterie, che incidono circa per il 40% sul totale dei costi; le differenze di prezzo aumentano man mano che si riduce la dimensione del veicolo.
Prendendo a riferimento due motorizzazioni alternative di una stessa automobile di piccola taglia, su un arco di tempo di 10 anni, includendo tutti i costi, passare all’auto elettrica comporta un aggravio di spesa per un automobilista italiano pari a circa 5.700 euro, il 15% in più. Inoltre, i tempi di ricarica sono più elevati, l’autonomia di percorrenza notevolmente ridotta, la disponibilità delle infrastrutture per la ricarica ancora limitata e la performance della batteria si riduce progressivamente. L’associazione tra le trasformazioni in corso e il crollo della produzione nel settore dell’auto non sembra essere casuale. Ma il settore è troppo rilevante per l’economia italiana ed europea: solo il settore “core” rappresenta il 13% del fatturato manifatturiero europeo, il 6,3% della produzione manifatturiera italiana, un valore aggiunto di 15 miliardi e 170mila occupati in Italia. E senza contare tutto l’indotto domestico generato (con il quale il settore pesa il 5,6% del valore aggiunto complessivo secondo Anfia), che coinvolge soprattutto l’industria dei prodotti in metallo ma anche la gomma-plastica, le attività metallurgiche, la fabbricazione di macchinari e le apparecchiature elettriche.