L’Europa deve intervenire per fermare “dumping ambientale e sociale”
Milano, 26 ott. (askanews) – “Su questa vicenda del pomodoro cinese, prodotto in aree come lo Xinjiang dove è palese la violazione dei diritti umani e c’è una scarsa se non nulla attenzione all’ambiente, non si capisce perché l’Unione Europea non si sia posta alcun problema a differenza di Stati Uniti e Gran Bretagna”. Giovanni De Angelis, direttore generale dell’associazione nazionale degli industriali conserve alimentari vegetali (Anicav), denuncia la “preoccupazione reale” di tutto il comparto della trasformazione del pomodoro da industria per l’arrivo sui mercati internazionali dei prodotti cinesi “che diventano nostri concorrenti”. Un fenomeno che vede l’Italia, “il principale protagonista di questo mercato in Europa, come il Paese maggiormente penalizzato”.
Le parole del dg di Anicav si uniscono all’allarme lanciato dalle pagine del Financial Times, da Francesco Mutti, amministratore delegato dell’omonimo gruppo. “Dovremmo bloccare l’importazione di concentrato di pomodoro dalla Cina o introdurre una tassa del 60% su questo prodotto – ha detto il numero uno del gruppo alimentare italiano – in modo che il suo costo non sia così diverso da quello dei prodotti italiani”. La preoccupazione per la concorrenza sleale cinese, in questa fase, è amplificata dall’aumento dei volumi. “Quest’anno la produzione in Cina è passata a 11 milioni di tonnellate dai 6 milioni di due anni fa: è evidente che raddoppiando quasi la produzione e non essendo loro dei grandi consumatori, tutto il pomodoro in più rispetto ai consumi interni è destinato ai mercati esteri e questo crea delle difficoltà per quanto ci riguarda perché diventano nostri concorrenti nel mondo”, ha spiegato De Angelis. Secondo i dati del World processing tomato council nel 2022 la quantità totale di pomodori lavorati in Cina è stata di 6,2 milioni di tonnellate, di cui oltre 5 milioni di tonnellate nello Xinjiang, regione più volte al centro delle denunce delle organizzazioni internazionali per lavori forzati e violazione dei diritti umani, e un altro milioni in Mongolia. Quest’anno, sempre secondo il Wptc, la Cina ha sfiorato quota 11 milioni di tonnellate (10,45 milioni).
“Noi siamo da sempre esportatori del pomodoro trasformato e tendiamo ad avere una politica non protezionistica – ha sottolineato De Angelis – Culturalmente siamo per mercati aperti e liberi ma su questa vicenda del pomodoro cinese prodotto in alcune aree come quella dello Xinjiang dove è palese la violazione dei diritti umani e c’è una scarsa attenzione all’ambiente non si capisce perché l’Unione Europea non si sia posta il problema a differenza di Stati Uniti e Gran Bretagna”. L’Europa, afferma De Angelis “deve dotarsi di una garanzia di reciprocità nel rispetto delle regole: noi apriamo le porte delle nostre frontiere a patto che si rispettino le medesime condizioni dei nostri produttori e trasformatori. Laddove ci sono poi violazioni dei nostri standard etico-sociali e ambientali noi chiediamo politiche di divieto”.
La concorrenza extra-europea fa leva sul prezzo condizionando tutto il mercato: “Noi non abbiamo timori a confrontarci sulla qualità coi competitor – osserva il dg Anicav – ma in una situazione congiunturale come quella attuale, per quanto vogliamo imporre la nostra qualità che giustifica un prezzo più alto, laddove quest’ultimo è molto, molto più basso noi subiamo una concorrenza sleale. Al tempo stesso è altrettanto evidente che noi non possiamo abbassarlo a quel livello”. “Sugli scaffali tedeschi – continua – si sta assistendo a un proliferare di prodotti derivati non europei che era inimmaginabile solo qualche anno fa e questo è sintomatico della pressione internazionale soprattutto della Cina”.
In questo scenario di mercato, l’Italia è il Paese che in Europa più di tutti ha interesse a fermare questo fenomeno di “dumping sociale e ambientale”: con 5,4 milioni di tonnellate trasformate nel 2023 ci siamo confermati il terzo trasformatore al mondo dopo Stati Uniti e Cina. “Noi siamo il primo esportatore di prodotti derivati dal pomodoro destinati direttamente al consumatore finale – ricorda De Angelis – La percentuale dei prodotti lavorati che esportiamo si avvicina al 60%”. Una quota che resta prevalentemente in Europa, mercato di riferimento col 60% delle nostre esportazioni “ma non trascuriamo i mercati extra Ue, che sono legati ai flussi migratori del passato dei nostri connazionali: qui primo tra tutti troviamo il Regno Unito, poi ci sono Usa, Giappone e Australia. Naturalmente gli Usa sono produttori e l’esportazione è poca cosa, noi lì abbiamo una quota di mercato importante anche se c’è un italian sounding rilevante. Diverso è invece il caso del Giappone che ci riconosce come partner di qualità”.
Come Anicav in un documento ufficiale rivolto alle istituzioni europee sono state chieste “politiche protezionistiche anti-dumping o di salvaguardia verso Paesi che hanno bassi o inesistenti standard ambientali ed etico-sociali, imponendo o il divieto di importazione o cercando di arginare questa tendenza. Stati Uniti e Gran Bretagna lo hanno già fatto. Questo documento l’abbiamo presentato al tavolo del pomodoro presso il Masaf e stiamo lavorando affinchè sia il nostro governo a presentare l’istanza alle istituzioni europee”. Spagna e Portogallo, che sono Paesi trasformatori del pomodoro, “possono sostenere la nostra causa perchè è un problema condiviso. Diciamo che in Ue l’Italia rappresenta più della metà della produzione, l’altra metà è frazionata: buona parte la copre la Spagna poi ci sono Portogallo, Francia e Grecia”. “Sicuramente – conclude – siamo il principale protagonista di questo mercato ma anche quello maggiormente penalizzato”.