GJADER (Albania) – “È esattamente quello che ci aspettavamo di vedere: un Cpr all’italiana, cemento e gabbie, un luogo che annichilisce le persone perché pensato per fargli fare una cosa sola: niente. Non c’è modo che possa rappresentare un modello per la gestione migratoria”. Questa l’impressione a caldo che Rachele Scarpa riferisce all’agenzia Dire. La deputata del Partito democratico è parte della delegazione di parlamentari – composta da Riccardo Magi (+Europa), Paolo Ciani (Ds) e Francesca Ghirra (Avs) – che oggi hanno visitato il Centro per il rimpatrio (Cpr) di Gjader, che ospita i 12 migranti bengalesi e egiziani arrivati dall’hotspot di Shengjin. Magi alle telecamere è ancora piu netto: “È un lager”. A promuovere la missione, anche la rete del Tavolo Asilo, che in Italia riunisce le realtà che si battono per la difesa dei diritti di migranti e richiedenti asilo.
Siamo in Albania, a un’ora di macchina a nord di Tirana, ma la giurisdizione, come i fondi impiegati per costruire i due centri, è al 100% italiana. All’interno del Cpr, dove i giornalisti non sono ammessi, agenti della polizia di Stato. “Siamo qui da sei mesi”, racconta uno di loro. “Turniamo. Si sta bene”.
Tutt’attorno, montagne, case e fattorie. Sull’unica strada che costeggia il cubo di metallo, con recinsioni alte nove metri, passano pastori con il gregge, qualche auto e trattori. Ma da quando, tra domenica e lunedì, la nave della Marina militare Libra è salpata verso il piccolo porto di Shengjin, si è messa in moto anche la “macchina dell’accoglienza” pensata dal governo di Giorgia Meloni tramite un protocollo siglato a novembre dello scorso anno. Ma non tutto è andato come previsto. Delle 16 persone trasportate qui, quattro già sono tornate in Italia: due sono risultati minori e due vulnerabili, dettagli sfuggiti ai controlli del personale a bordo della Libra “ma non agli operatori specializzati che abbiamo messo a disposizione. I ‘protection officer’ notano elementi che normalmente sfuggono” spiega alla Dire Flavio di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). “È grazie a questo lavoro attento iniziato a bordo della Libra e proseguito a Shengjin”, sottolinea il funzionario, “se sono stati trasferiti solo 16 e infine 12. Contiamo di proseguire questo lavoro di affiancamento per altri tre mesi”.
Ma alla fine, anche i 12 uomini attualmente nel centro potrebbero ridursi ancora: dipenderà dalla decisione del Tribunale di Roma, chiamata a valutare entro le prossime ora il loro trattenimento nel centro. “Se confermata- riprende Scarpa- riceveranno il decreto di rimpatrio”. Altrimenti, si torna in Italia. Secondo la deputata del Pd “le procedure presentano molte lacune a partire dal fatto che la selezione si è basata su due criteri: se i migranti fossero in possesso dei documenti e se lo stato di salute fosse buono, senza altre valutazioni anche di tipo psicologico”.
RACCONTI DI TORTURE E PRIGIONI IN LIBIA E POI ‘LA COSTA ITALIANA VICINISSIMA’
Scarpa spiega: “Tutti quelli con cui abbiamo parlato – dall’aspetto stanco e provato – ci hanno detto di essere passati per la Libia e i trafficanti. Sono stati nelle prigioni e hanno subito torture. Ci hanno parlato anche di un edificio in particolare, in cui la mafia bengalese rinchiuderebbe persone in stanze singole finché la famiglia non paga il riscatto”. Emerge poi la storia di un uomo originario dell’Egitto, Paese valutato dall’Italia come “sicuro” per il rimpatrio: “È un disertore- riporta Scarpa– non ha voluto fare il servizio militare e ora ha il terrore di tornare, teme che lo uccideranno“.
Oltre a non essere stati ascoltati nel corso del primo screening sulla nave della Marina militare, i migranti non sono neanche stati informati del fatto che sarebbero stati trasferiti in Albania. La deputata del Pd avverte: “Uno di loro ha riferito che prima del trasferimento sulla Libra, aveva visto la costa di Lampedusa. Così ci ha detto ‘se avessi saputo che mi avrebbero portato qui, mi sarei tuffato per raggiungere l’Italia a nuoto’”. Un dettaglio, quello della prossimità delle coste, che ha insospettito i delegati: “Ma i trasferimenti non erano avvenuti in acque internazionali?” la domanda. In effetti, il Protocollo prevede che “nessuno va in Albania partendo dall’Italia”. Ma allora dove stavano le motovedette dell Guardia costiera che hanno effettuato i soccorsi, poi raggiunti dalla Libra? Lo riveleranno i tracciati navali, che ora i parlamentari d’opposizione si apprestano ad acquisire insieme ad altra documentazione.
L’articolo Albania, missione di monitoraggio nel centro per migranti di Gjader “Made in Italy”: “È annichilente” proviene da Agenzia Dire.
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