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“Il cinema di Mimmo Paladino attraverso le fotografie di Pasquale Palmieri in mostra a Villa Campolieto”

Attualità"Il cinema di Mimmo Paladino attraverso le fotografie di Pasquale Palmieri in mostra a Villa Campolieto"

È stata presentata in anteprima nazionale il 22 giugno, nell’ambito della edizione 2023 del Campania Teatro Festival, tra le mura della magnifica Villa Campolieto di Ercolano, la mostra “Il cinema di Mimmo Paladino. Fotografie di Pasquale Palmieri”, curata da Maria Savarese.

L’idea di fondo dell’evento è quella di “fare il punto” sul lavoro filmico di Mimmo Paladino, cominciato nel 2006 con Quijote, fino al recente La Divina Cometa. La riflessione e storicizzazione di tale segmento specifico della sua produzione artistica è resa possibile grazie al lavoro di Pasquale Palmieri, fotografo di scena di tutti i suoi film, accanto a Paladino, sin dai tempi dell’università, in un percorso narrativo e di documentazione della sua ricerca.

Domenico Paladino, meglio noto come Mimmo, pittore, scultore e incisore italiano è tra i principali esponenti della transavanguardia italiana nonché uno degli artisti sanniti più conosciuti al mondo. In cerca di nuovi strumenti espressivi e mosso dalla curiosità, l’artista di è avvicinato al cinema il quale gli ha permesso di creare un progetto nella sua interezza: dalla ricerca della location alla redazione dei dialoghi, dagli attori ai tecnici, dalla trama alla fotografia.

L’esposizione è allestita nelle sale del primo piano della villa vesuviana, in origine dimora di importanti progetti artistici, come la mostra della collezione Terrae Motus, creata nella prima metà degli anni Ottanta dalla lungimiranza del gallerista napoletano Lucio Amelio, dove era presente lo stesso Mimmo Paladino

La mostra presenta una selezione di 45 fotografie di scena di grande formato a colori, a cui si affiancano altrettante in bianco/nero di più piccole dimensioni dei vari backstage.

Scegliendo di seguire un ordine tematico e non cronologico per l’allestimento, Paladino rende noto al pubblico il complesso e variegato rapporto di Paladino con il cinema, che ha origine dalla curiosità di un pittore che lavora con le immagini e cerca sempre nuovi strumenti espressivi.

Fotografando i lungometraggi Quijote (2006), La Divina Cometa (2022) e i corti Labyrintus (2013) e Ho perso il cunto (2017), il fotografo decide di focalizzarsi sulle varie fasi della lavorazione, dalla ricerca delle location, al dialogo con gli attori, con i tecnici e le maestranze, riuscendo ad intercettare l’anima dei film attraverso sequenze “senza movimento” e l’immagine di tutto ciò che sta dietro alla macchina da presa, che resterebbe altrimenti segreto e sconosciuto.

“La fotografia di scena – afferma la curatrice Maria Savarese – è qualcosa che va oltre gli scatti posati e il backstage, appare quasi come un’etnografia visiva del set cinematografico, necessaria a cogliere aspetti e dettagli della vita quotidiana del lavoro filmico, è proprio in questo senso che il racconto di Pasquale Palmieri risulta unico e determinante, non solo nella sua capacità di svelare, attraverso le immagini, la costruzione dell’opera cinematografica di Paladino, ma nella sua peculiarità di ricostruire un particolare ambito della cultura contemporanea della nostra regione, quello dell’area del Sannio, aggiungendo un’ulteriore tessera al grande mosaico degli archivi fotografici privati, immensi patrimoni da conoscere, tutelare e valorizzare.”

L’archivio fotografico di Pasquale Palmieri è composto da circa 50.000 negativi dall’inizio degli anni Ottanta alla metà del primo decennio del Duemila che documentano il mistero della nascita di un’opera d’arte nello studio di molti artisti, in primo luogo Mimmo Paladino, ma anche di altri autori come Luigi Mainolfi, Perino e Vele, solo per citarne alcuni, esso è costituito anche da 100.000 fotografie digitali relative all’ultimo ventennio.

“Per me– dice il fotografo- uno stage con il più grande fotografo del mondo non sarebbe stato più formativo della frequentazione di un grande artista. Il contatto con la creazione della bellezza mi bastava per definire la mia visione del mondo. Ho conosciuto l’importanza del dubbio, dell’incertezza, dell’imperfezione, del vuoto che precede la creazione, del non finito, delle zone d’ombra dell’arte nel suo farsi. Ma non c’era bisogno di parole: la comunicazione con l’artista avveniva per osmosi. Ho compreso quanto l’opera finita sia distante dal momento in cui si genera, e quanto diventi potente nell’attimo in cui si libera dal suo artefice, raccontando cose a cui neppure l’artista pensava”.

Il progetto espositivo, che sarà visibile fino al 17 settembre, è coprodotto dalla Fondazione Campania dei Festival, Film Commission Regione Campania, dalla Fondazione Mannajuolo, dall’Associazione Culturale Archivi della Memoria e realizzato grazie alla collaborazione dell’Ente Ville Vesuviane.

Adriana Talia

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