ROMA – Ne hanno viste troppe. Omicidi, suicidi, abusi su minori. Oltre 140 moderatori di contenuti di Facebook in Kenya hanno sviluppato gravi disturbi psicologici, soprattutto disturbi da stress post-traumatico (PTSD), ansia generalizzata (GAD) e depressione (MDD). Condizioni attribuite all’esposizione quotidiana a contenuti espliciti, estremi.
I moderatori lavoravano per Samasource, un’azienda esternalizzata da Meta, che li impiegava in una struttura a Nairobi per rimuovere contenuti violenti dai social media. Secondo il dottor Ian Kanyanya, responsabile dei servizi di salute mentale all’Ospedale Nazionale Kenyatta, le diagnosi hanno evidenziato sintomi gravi nell’81% dei casi, persino anni dopo che i lavoratori avevano lasciato l’impiego.
Lavoravano in turni di otto-dieci ore in uno spazio simile a un magazzino, monitorati al minuto e costretti a visionare immagini e video di necrofilia, bestialità e violenze estreme. Alcuni hanno riportato episodi di svenimenti, vomito, urla e fughe dalla postazione. Il lavoro ha avuto un impatto devastante sulle loro vite personali, con casi di abuso di sostanze, crolli matrimoniali e isolamento sociale. Alcuni di loro temono anche ritorsioni, soprattutto quelli incaricati di rimuovere contenuti di gruppi terroristici.
Sono 190 gli ex moderatori che hanno fatto causa contro Meta e Samasource presso il tribunale del lavoro di Nairobi, accusando le aziende di inflizione intenzionale di danni mentali, sfruttamento lavorativo e licenziamento illegittimo. Negli atti legali che ha visionato il Guardian si legge anche che erano pagati otto volte meno dei loro colleghi statunitensi, nonostante fossero esposti a rischi psicologici forse peggiori.
Meta ha dichiarato di prendere sul serio il benessere dei moderatori, affermando di offrire supporto psicologico, formazione e accesso all’assistenza sanitaria privata. L’azienda ha anche adottato tecniche per attenuare l’impatto del materiale esplicito, come la sfocatura delle immagini e la disattivazione dei suoni. Tuttavia, queste misure non sono bastate a proteggere i lavoratori dai gravi effetti psicologici.
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