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Siria liberata, e se dentro un carcere ci fosse padre Dall’Oglio? La sorella spera: “Aprire dialogo”

MondoSiria liberata, e se dentro un carcere ci fosse padre Dall’Oglio? La sorella spera: “Aprire dialogo”

ROMA – “Viviamo con molta attenzione e aspettative questo momento storico importante per la Siria, e ovviamente anche rispetto alla sorte di mio fratello, padre Paolo Dall’Oglio, sulla cui sorte da 11 anni cerchiamo la verità. Sappiamo che le autorità italiane seguono il caso: chiediamo che raddoppino gli sforzi”. Parla con l’agenzia Dire Francesca Dall’Oglio, sorella del sacerdote gesuita e missionario italiano della comunità di mar Mousa, sequestrato il 29 luglio 2013 a Raqqa.

Questa città, tra le roccaforti dei ribelli all’indomani della sollevazione popolare partita nel marzo 2011, attraversava in quel momento mesi di oppressione da parte di gruppi filo-governativi e, dopo meno di un anno dal rapimento del gesuita che si era fatto voce della necessità di pace e giustizia per tutti i siriani, fu conquistata dal nascente gruppo Stato islamico (Isis), che la rese sua capitale. Ma padre Dall’Oglio, per i suoi appelli al dialogo interreligioso e per la denuncia delle violazioni sistematiche dei diritti umani, si attirò le inimicizie del presidente Bashar Al-Assad, che dopo le sollevazioni popolari del 2011 lo colpì con un decreto di espulsione. Il missionario lasciò la Siria nel giugno 2012, per farvi ritorno nel luglio 2013. Il 29 di quel mese scomparve senza lasciare tracce.

LE DUE IPOTESI SULLA SCOMPARSA DI DALL’OGLIO

Nel fine-settimana, dopo oltre mezzo secolo al potere, il governo della famiglia Assad è caduto per mano dei ribelli rivoluzionari e questo ha permesso a migliaia di detenuti politici di lasciare le carceri. “Sulla sorte di mio fratello sono state fatte varie ipotesi” ricorda Francesca, secondo cui due sono rilevanti. La prima: “Da fonti curde ho saputo che Paolo potrebbe essere stato portato prigioniero da Hurras El-Din, milizia che sarebbe stata poi assorbita dal movimento Hayat Tahrir Al-Sham, nella zona tra Idlib e Aleppo, dove poi fu ucciso anche Al-Baghdadi”, il leader dell’Isis. La seconda tesi invece, “che ho appreso da fonti locali, lo vedrebbe prigioniero delle carceri del regime di Assad, probabilmente in una nei pressi dell’aeroporto di Damasco. Questa peraltro è l’ipotesi più accreditata”. Pertanto, osserva ancora Francesca, “è decisamente positivo che i ribelli stiano prima di tutto liberando i prigionieri politici”.Inoltre, la caduta del regime “sta permettendo di accedere a luoghi e informazioni che prima erano impenetrabili: potrebbe finalmente emergere qualcosa anche su mio fratello”, che va ora “cercata”.

I DETENUTI STANNO USCENDO DALLE CARCERI

Ma padre Dall’Oglio non è il solo a essere scomparso: 136.614 i prigionieri politici secondo la rete Syrian Network for Human Rights. I resoconti di chi sta uscendo confermano le denunce di questi anni: persone torturate – anche fino a perdere la vita- celle buie e strette, sovraffollate, senza luce e con pochissimo cibo, nomi personali sostituiti da numeri. E poi c’è l’emergenza al carcere di Saydanya, il “mattatoio” secondo l’ong Amnesty International: non si riescono ad aprire i bracci sotterranei perché le guardie, prima di darsi alla fuga, hanno bloccato i meccanismi di apertura. Ignoto il numero dei prigionieri all’interno.

LA SPERANZA DI RIABBRACCIARLO

“Dal 2011- osserva Francesca- a migliaia sono finiti nel baratro. Ma c’è chi ne sta riemergendo, come Muammar Al-Ali, cittadino libanese arrestato 40 anni anni fa e da allora dichiarato scomparso: è uscito vivo dal carcere di Hama”, dopo la liberazione della città venerdì scorso da parte dei ribelli. Al-Ali è stato arrestato a un checkpoint quando aveva 18 anni, nel 1984, mentre con la famiglia fuggiva dalla guerra civile libanese. Oltre alla “forte emozione” quindi per gli eventi in corso, Francesca sente anche “la speranza” di poter riabbracciare il fratello: “Sappiamo che le autorità italiane hanno grande attenzione sul caso di Paolo, perciò in un momento come questo è fondamentale che tale attenzione aumenti”. Pertanto Francesca si unisce all’appello lanciato in queste ore dall’associazione The Syria Campaign: “Proteggere dati, prove, informazioni nelle carceri affinché si possano ricostruire le storie di chi è stato detenuto”.

“APRIRE UN CANALE DI DIALOGO”

L’appello è anche a trovare un canale di dialogo con le nuove forze che si stanno imponendo in Siria: “Trovo fuorviante considerare tutti jihadisti, perché se da un lato ci sono i miliziani di Hayat Tahrir Al-Sham, le fonti sul terreno mi dicono che oltre la metà dei combattenti proviene invece da quelle forze rivoluzionarie del 2011 o da uomini che furono i giovani sfuggiti dai bombardamenti di Assad e cresciuti a Idlib”, altra importante roccaforte anti-governativa.

Insomma, “abbiamo davanti una coalizione di ribelli contro il regime siriano. E poi, anche rispetto ai cristiani- aggiunge Francesca- i miei contatti mi dicono che c’è dialogo e rispetto”. Lo stesso che invocava padre Dall’Oglio. Per questo la sorella del missionario chiede di citare le parole dell’ultima intervista che il fratello rilasciò alla tv nazionale siriana il 28 luglio 2013: “La Siria è il nostro Paese e dobbiamo rimetterlo in piedi insieme, col pluralismo, necessario per aprire la via verso la libertà. I siriani non sono un popolo ingenuo o un bambino da dover tenere sotto tutela: sono persone consapevoli in grado di capire.Dategli delle responsabilità, lavorate a una Costituzione condivisa e pluralista, e costruite un Paese federale. Dategli una democrazia. Ogni particolarità geografica, inoltre, va rispettata. Qui ci sono delle tribù, qui i curdi, qui gli alawiti, qui grandi città… ma il popolo deve poter creare unità attraverso la propria condivisione e non tramite qualcosa da fuori che gli viene imposta dall’alto. Dobbiamo fare qualcosa per riappacificarci e non solo ritrovare la libertà per tutti, ma far sì che sia conservata”.
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