ROMA – “Siamo portati, istintivamente, a definire le calamità che si presentano come ‘naturali’.Quale senso va attribuito a questa espressione? Dare per scontato che le calamità debbano ripetersi e che accadono – e accadranno – comunque, a prescindere? Che, tutto sommato, è piuttosto vano opporvisi? E che il massimo che si possa fare, dunque, è tentare di attenuarne gli effetti? Oppure, che la natura, periodicamente, presenta anche il conto della costante propensione dell’uomo a trascurare gli equilibri dell’eco-sistema?”. Lo dice il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ad Alessandria al teatro Alessandrino per la cerimonia del 30° anniversario dell’alluvione che colpì i comuni della Regione Piemonte.
Settanta morti, cinquecento feriti, migliaia di sfollati, decine e decine di migliaia di posti di lavoro compromessi. La piena del Tànaro, del Bormida, del Belbo, sino al Po, colpì Ceva, Alba, Asti, Alessandria, con quattordici vittime, Canelli, Garessio, Acqui, Casale Monferrato, Santena, Crescentino, Trino, Bra. Quasi trecento i Comuni colpiti, allagati. Completamente isolati gli ospedali che vi erano a Bra, Canelli, Fossano, Nizza Monferrato. L’evento alluvionale più grave dell’intero Novecento in Piemonte, secondo l’Agenzia regionale per la protezione ambientale. “Le tragedie lasciano tracce irreversibili nel cuore e nella mente delle persone, nei luoghi. Dopo una catastrofe nulla è più come prima”, sottolinea il presidente della Repubblica.
“Quando l’eco degli avvenimenti drammatici scompare dalle cronache non vi devono essere pause o intervalli nel porre in sicurezza i territori e garantire fiducia e serenità alle popolazioni, per sospingere la ripresa della vita. Il rilancio delle zone colpite è interesse di tutto il Paese, e qui ne troviamo testimonianza”, sottolinea il Capo dello Stato. E aggiunge: “Il tema non può ridursi alla rapidità ed efficacia dell’intervento durante le calamità. Bisogna guardare alla prevenzione dei rischi, con una visione di lungo periodo, analoga all’andamento della evoluzione degli eventi naturali. Non basta proporsi di ‘mitigare’ le avversità. Non sarebbe un proposito all’altezza delle attese e delle esigenze. La storia ci consegna sovente tragedie. Che fare di fronte ad esse? Gli slogan suggestivi della forza della ricostruzione del ‘dov’era com’era’ meritano di mettere l’energia che li anima a servizio di un equilibrio che non perpetui squilibri e pericoli. Appare poco previdente evocare, ogni volta, la straordinarietà dei fatti – che tendono, invece, prepotentemente, a riproporsi – per giustificare noncuranza verso una visione adeguata e progetti di lungo periodo”.
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