(Adnkronos) –
Elly Schlein fila via veloce da Montecitorio, in mattinata per gli Stati generali sulla sicurezza sul lavoro, diretta a Testaccio ad un’iniziativa sui migranti all’ex-Mattatoio. La segretaria con i cronisti non torna sul voto delle elezioni regionali in Liguria. Vale quanto detto ieri, in tarda serata. Sulla campagna generosa di Andrea Orlando, sul Pd che “ha dato il massimo” e vola nelle percentuali, sulla chiamata alla responsabilità, davanti a cui ha messo gli alleati, per quel gol sbagliato a porta vuota. La segretaria non va oltre. Nonostante la sconfitta che brucia. Si vota tra venti giorni in Umbria e in Emilia Romagna. La priorità è questa.
Una consapevolezza diffusa anche tra i dem. Ci sono amarezza e rabbia per la vittoria mancata di un soffio, per gli sgambetti degli alleati che hanno azzoppato la corsa di Orlando, ma regge la ‘pax’ interna in vista del doppio appuntamento elettorale. “Ora ci sono Emilia e Umbria, dopo tireremo le somme”, dice un big dell’area riformista Pd. Anche perché stavolta c’è una preoccupazione che va oltre la sconfitta in Liguria: quella sulla competitività della coalizione, dell’alternativa alla destra che il Pd cerca di costruire. “Il Pd è al 28,5%. Abbiamo dato il massimo. Siamo consapevoli che non bastiamo, ma scontiamo anche le difficoltà degli altri”, le parole di Schlein ieri notte.
Preoccupa il crollo dei 5 Stelle da un lato e la mancanza di un’offerta ‘liberal’ dall’altro. Lo dice Beppe Sala: quello che “è palesemente deficitario nel centrosinistra è la forza centrale, quella moderata, pragmatica, capace di riforme, europeista. Una nuova componente liberal, che al momento ha una rappresentanza non definita”. A maggiore ragione al Nord, a maggior ragione con i 5 Stelle “sotto il 5%”.
Un’analisi quella di Sala, che trova un’assonanza nelle parole di Goffredo Bettini: “Le lacerazioni della coalizione hanno pesato negativamente. Stabilizzarla e allargarla, significa costruire un soggetto liberale e di centro, collocato nel campo democratico, che superi i residui e i conflitti del passato e guardi al futuro”. Nella speranza, aggiunge, che i 5 Stelle escano dalla loro crisi: “Il Movimento 5Stelle vive una fase di grandi difficoltà e di incerta transizione. Speriamo tutti che anch’esso chiuda la parte della sua storia ormai esaurita e abbia l’energia di costruirne una nuova”.
Una transizione, quella del Movimento, che per molti tra i dem non può però scaricarsi sul Pd: la situazione favorevole in Liguria, osserva Alessandro Alfieri, “avrebbe suggerito a tutti di andare oltre i rancori e le incomprensioni del passato per costruire l’alternativa ad una destra uscita indebolita dagli scandali giudiziari e dare un governo migliore alla Liguria. Purtroppo sono prevalsi i veti”. Ma per il senatore riformista dem, ai veti sono però seguiti degli errori che chiamano in causa la segretaria Schlein: “E ai veti è seguito un errore politico: pensare che si dovesse scegliere tra il 6% di Conte e il 2% di Renzi che si leggevano nei sondaggi”.
La riflessione dell’area riformista si appunta non tanto su Renzi sì, Renzi no ma sul ‘messaggio’ dato all’elettorato. “Il punto politico -prosegue Alfieri- andava oltre Renzi: quel no al leader di Italia viva sarebbe stato inevitabilmente percepito come un no alla parte centrista della coalizione. E sulla capacità di rappresentare quell’area moderata e maggiormente fluida nei comportamenti elettorali. Una parte importante su quell’area l’hanno fatta il Pd e la civica di Orlando, ma non è bastato”. Per Stefano Bonaccini “il risultato mancato per un soffio deve far riflettere (e agire) per fare un passo avanti risolutivo nella costruzione di un centrosinistra nuovo, capace di vincere”, sottolinea. Ma non è questione da affrontare ora: “Da oggi a metà novembre concentriamo ogni sforzo per vincere le prossime elezioni regionali in Umbria ed in Emilia-Romagna”.