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Romanticismi a Confronto: Busoni e Schumann e cena a casa Verdi

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Ultima serata al Complesso San Michele, venerdì 11 ottobre alle ore 19,30, con  il pianista Costantino Catena, in dialogo con l’Ensemble Salerno Classica, che eseguirà, il Concerto in la minore per pianoforte e orchestra, op. 54, e il Quartetto in Do op.19 di Ferruccio Busoni, con, a seguire dopo-spettacolo al Circolo Canottieri Irno col menù dedicato al genio parmigiano

Gran finale, venerdì 11 ottobre, per la rassegna “San Michele in musica”, i cinque incontri tra musica, arte e gusto, nati dalla consolidata sinergia tra Salerno Classica e la Fondazione Carisal, presieduta da Domenico Credendino, che accompagna da tempo le attività culturali dell’associazione Gestione Musica di Francesco D’Arcangelo, nel suo progetto sovvenzionato dal MIC e regione Campania legge 6.

L’11 ottobre, alle ore 19,30 sarà il pianista Costantino Catena l’ospite della serata dedicata al romanticismo delle partiture di Ferruccio Busoni e Robert Schumann, che vedrà dialogare con il pianista l’Ensemble Salerno Classica, composto da Mario Dell’Angelo ed Alessandro Marino al violino, Piero Massa alla viola, Francesco D’Arcangelo al cello e Gianluigi Pennino al contrabbasso.

La serata principierà con il Quartetto n° in Do op.19 di Ferruccio Busoni di stile ed effetto ben evidente, completato nel 1882 a Lipsia, quando Busoni è allievo di Carl Reinecke, e denota le influenze di Felix Mendelssohn e di Louis Spohr, ma non può certo essere considerato un lavoro studentesco.

L’opera, dedicata al violinista Julius Heller, fondatore dell’omonimo quartetto d’archi, è suddivisa in quattro movimenti. Il tema del movimento d’apertura ha un carattere quasi minaccioso, sostenuto dal pulsare degli archi bassi; nel finale la melodia si alleggerisce con sfumature un po’ eroiche.

Il secondo movimento è introdotto dalla viola che presenta un tema originale basato su una melodia popolare. Il terzo movimento non è il minuetto classico di Haydn o Mozart, ma evoca quello francese del periodo barocco.

Il movimento finale inizia con un cupo Andante che sfocia in un Allegro con un tema principale energico e sincopato. La sezione centrale presenta un breve tema lirico, derivato dall’Andante, che si dissolve in una fuga.

Seguirà, quindi, l’esecuzione del Concerto in la minore per pianoforte e orchestra, op. 54, una delle opere piú complesse di Robert Schumann che, al di là della sua notorietà e del suo indiscutibile fascino, rappresenta il tentativo piú ardito di fondere in una singola composizione tutte le suggestioni e le ansie espressive che lo assillavano nei confronti di una creazione di vaste proporzioni.

Conseguentemente, certi difetti di misura sono da attribuire non tanto alla presunta incapacità di Schumann nel padroneggiare la “grande forma” della tradizione classica fino a Beethoven, quanto alla sua volontà di superarla e trascenderla in una inquietudine che non conosce limiti ben definiti.

La scrittura pianistica, che in un virtuosismo di ardua definizione riassume tutte le possibilità tecniche ed espressive già “inventate” e utilizzate da Schumann, tende ad accentrare su di sé il peso del dialogo con l’orchestra, anche se in molti passaggi il rapporto si distende in rari equilibri nello spirito di una reciproca, feconda libertà.

L’intero Concerto è dominato da un calore che ci rimanda allo stile dello Schumann piú estroverso, in un impeto appassionato che si dispone, in sbalzi vertiginosi di umori, su una vasta gamma di gradazioni e che non è alieno da intimismi di profonda poesia.

Il primo movimento, “Allegro affettuoso”, si apre con una potente introduzione del pianoforte solo, a cui fa seguito la esposizione del tema principale che, in un giuoco di mutamenti e di scambi fra solista e orchestra, circolerà per tutto il movimento. Il secondo movimento, Intermezzo, un Andantino grazioso, è avvolto in una atmosfera di delicata intimità in cui il pianoforte si sprofonda dialogando sommessamente con l’ensemble.

Il pianoforte che conduce, attraverso un passaggio di straordinaria suggestione armonica e timbrica non immune dal ricordo di analoghi trapassi beethoveniani, all’ultimo tempo, “Allegro vivace”, caratterizzato da un tema che deriva chiaramente dal materiale dei precedenti movimenti.

In uno sviluppo condotto tutto ad alta temperatura, il Finale si slancia in audaci figure affidate al pianoforte, concludendosi, con una poderosa Coda, in un tripudio di sonorità. Il dopo-spettacolo si consumerà al Circolo Canottieri Irno, dove il pubblico sarà atteso da un menù dedicato a Giuseppe Verdi, realizzato da SlowFood (Euro 35 su prenotazione: slowfoodsalerno@gmail.com +393356686137  Tel.:089254125).

Innumerevoli i piatti dedicati a Giuseppe Verdi, grande maestro della musica classica italiana, nonché estimatore della cucina del Bel Paese. Giuseppe Verdi non fu solo un grande compositore ma, come Gioachino Rossini e Giacomo Puccini, fu anche un grandissimo amante della buona cucina.

Era un raffinato cultore del cibo ed aveva una spiccata concezione del cibo come summa dell’ospitalità. Verdi crebbe in una famiglia di piccoli possidenti e commercianti, che in seguito ad un lascito divennero anche proprietari di una piccola osteria. La buona cucina, così, divenne subito una delle sue più grandi passioni.

Verdi, poi, si trasferì a Villanova sull’Arda, nel piacentino: qui, nella sua Villa Sant’Agata, si dedicò anche ai campi e alle attività agricole, ospitando spesso amici e colleghi per pranzi o cene raffinate. La sua cucina era ricca di pentole di rame, casseruole, stampi e altri utensili utilizzati per diverse ricette.

Ovviamente Verdi esigeva la massimo qualità delle materie prime come olio, vino, pasta. L’olio preferito, anche rispetto a quello eccellente della Liguria, dove i coniugi Verdi trascorrevano i mesi freddi dell’inverno, era quello delle colline toscane: “due stagnate di olio sopraffino e due di olio più ordinarie per friggere”.

Anche il vino come l’olio, in fiaschetti, che il maestro restituiva ben lavati: “favorisca mandarmi due casse di vino Chianti, uno marca rossa e uno marca gialla” chiedeva a Napoleone Melani, albergatore di Montecatini.

La pasta, soprattutto i maccheroni, gliela procurava a Napoli l’amico Cesare De Sanctis. C’era un ingrediente in particolare al quale Verdi non sapeva rinunciare: il riso. Nel 1869 sua moglie Giuseppina intrattenne dei rapporti epistolari con Camille Du Locle, l’impresario dell’Opéra di Parigi, al quale parlava spesso del marito.

In un’occasione, l’argomento si spostò sulla ricetta del risotto cucinato più spesso per il Maestro. L’uomo d’affari era curioso di conoscere gli ingredienti e Giuseppina lo accontentò: burro fresco, midollo di bue o vitello, cipolla, brodo, mezzo bicchiere di vino bianco, formaggio grattugiato e tartufi.

Dopo qualche anno, lo chef Pellaprat decise così di dedicare al Maestro una nuova ricetta con gli ingredienti tipici della regione di provenienza del Maestro: il culatello di Zibello, che in alcune versioni viene sostituito dal prosciutto di Parma, i funghi, il Parmigiano Reggiano e gli asparagi piacentini, aggiungendone altri che sapeva essere di suo gradimento.

La cena sarà invece aperta dai crostini alla Rigoletto, un antipasto semplice, ma dai sapori decisi grazie anche alla presenza del peperoncino di cayenna, che grazie anche alla genuinità di ingredienti autentici e semplici, come quelli che il maestro amava servire alla sua tavola.

Quindi si continuerà con un polpettone di carne servito su di un manto di patate “allardate”, il tutto innaffiato dal Chianti, per chiudere con uno dei dolci preferiti da Verdi, che era il  Budino di castagne con amaretti e cioccolato, col quale verrà servito del Sangue di Giuda.

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